L'isola che non c'è

"Il pericolo dell'oblio c'è sempre - ha ricordato Segre alla presentazione delle iniziative promosse a Milano -. Una come me ritiene che tra qualche anno sulla Shoah ci sarà una riga tra i libri di storia e poi più neanche quella". È necessario vivere l’orrore della guerra per percepire, a distanza di anni, il dolore della sofferenza, o il racconto può bastare come insegnamento per il presente e monito il futuro?

Il 18 maggio 1940, il Pentcho, un vecchio rimorchiatore, lasciò il porto di Bratislava sul Danubio. A bordo vi erano 520 ebrei, cechi, slovacchi e polacchi, intenzionati a discendere il fiume fino a Sulina, sul Mar Nero, dove una nave più grande li avrebbe attesi per proseguire verso la Palestina. La nave dovette attraversare numerose frontiere e venne ripetutamente bloccata e sequestrata. Ogni volta, miracolosamente, i passeggeri trovarono il modo di ripartire. Quando finalmente il Pentcho arrivò a Sulina, dopo oltre cinque mesi di peripezie, la nave che li doveva trasportare in salvo non c'era più. Il capitano decise coraggiosamente di continuare la navigazione finché il motore, inadatto al mare, si sfasciò la nave si arenò su un'isola deserta. Dopo dieci giorni i naufraghi furono soccorsi da una nave militare italiana. L'Italia, in quel tempo, erano però in guerra al fianco della Germania. Per i naufraghi fu la salvezza o l'inizio di una nuova odissea?

Vi proponiamo il racconto di questo viaggio attraverso la viva testimonianza di un sopravvissuto, Farkash Haim, noto come Carlo, 93enne che vive a Tel Aviv e che ha risposto con piacere alle domande dei nostri studenti.

Guarda il video L'isola che non c'è - Pentcho